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sabato 3 marzo 2012

Maria Antonietta (recensione)


Pubblicato su Stordisco - www.stordisco.blogspot.com 

Maria Antonietta, non esistono vie di mezzo per questa giovanissima artista di Pesaro, non esistono i “sì, però”, la questione è molto semplice o la si ama o la si odia. O la ami follemente oppure dopo le prime note spegni lo stereo, il computer e tutto ciò che potrebbe trasmetterla.
I motivi per amarla sono diversi: ha una personalità spiccata, che le ha permesso di abbandonare i primi progetti per dedicarsi interamente alla sua carriera solista e questa volta in italiano. Ha coraggio da vendere, si presenta come una paladina spirituale, ama Gesù e tutti i Santi. Ha una voce sfrontata, ruvida, molto rock ‘n roll.
I motivi per odiarla penso che siano gli stessi, a voi decidere!

L’abbiamo lasciata come Marie Antoinette con il suo lavoro d’esordio “I Want to suck your young blood” totalmente in inglese, ed è stato subito una caccia alla citazione, c’era chi diceva che fosse la Patti Smith italiana, Pj Harvey, che avesse in sé lo spirito delle Hole tutte insieme, ora che canta in italiano e si presenta semplicemente come Maria Antonietta, la situazione non è diversa, c’è chi parla di Carmen Consoli e così via.

Bene! Io non ho proprio voglia di stare a questo gioco. Dico solo che questo è un album di grandi contrasti, è tutto tinto da sfumature retrò o decadenti ( termine che le si addice moltissimo) ma dietro questo “rosa-antico” c’è un forte spirito punk. Si è presentata con un singolo di forte impatto come “Quanto eri bello” che di primo acchito sembra una canzone d’amore, tutt’altro, è una sorta di rivincita delle donne ed è quanto mai realistico, le ragazze ora non cercano più il principe azzurro,”quanto eri bello, io volevo solo portarti a letto” ma è anche vero che si è estremamente fragili “e volevo essere felice ad ogni costo”. Un album dove la dimensione personale è raccontata senza filtri e senza vergogna, è la storia di una vita, di una crescita. Brani come “Saliva” o “Estate 93” e “Questa è la mia festa” raccontano un po’ il disagio di un’anima così come potrebbe essere applicabile al disagio delle ultime generazioni, “E poi tutte le mie canzoni parlano di un solo cazzo di argomento, della mia incapacità di accettare la realtà”. La passione per la agiografia è anche in questo lavoro molto presente nei brani come “Maria Maddalena” e “Santa Caterina” , è una componente importante e molto caratterizzante per Letizia Cesarini, componente che trovo originale al di là dei pareri personali.

In conclusione, è un album che può trovare il suo seguito, e che ha sicuramente qualcosa da dire, è forse un po’ troppo ostico e ripetitivo e che a lungo andare può annoiare. Sicuramente ha portato Maria Antonietta ad essere una personalità nella scena musicale italiana anche grazie ad una buona produzione di Dario Brunori. Staremo a vedere.













Management del Dolore Post-Operatorio- Auff!! (Recensione)


Pubblicato su Stordisco - www.stordisco.blogspot.com

Auff!! Che può non dir nulla così come può essere un titolo geniale per un album, per la realtà, per la vita.
Si presentano in modo prorompente questi 4 ragazzi di Lanciano, con un singolo che la dice lunga “Porno-bisogno” e forse non è un caso per loro aprire con questo brano, si vocifera infatti che questi ragazzi si siano ritrovati infortunati, ognuno a proprio modo, dopo un incidente autostradale e siano arrivati alla conclusione che l’unico modo per riprendersi dal “dolore post operatorio” fosse il piacere, e la copertina dell’album è molto emblematica in questo senso. Ma andando avanti con l’ascolto che si rivela molto scorrevole ci troviamo nelle orecchie l’irriverente Tittle-track “Auff!” , ben riuscita, a mio parere la migliore, dove vengono vomitati una serie di luoghi comuni, citazioni ben pensate che mirano a scardinare quello stereotipo del “poeta maledetto” che ultimamente sembra essere inflazionato. Edgar Alan Poe, Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, fino al contemporaneo Bukowski, emblema di un disagio sociale ma che probabilmente applicati alla nostra società si spogliano della loro genuinità e si vestono di moda. “Ho un amico e se ci parli per un po’, non ha nulla da invidiare Ad Edgar Allan Poe” . Auff! Si pone come un “Hiroshima Provinciale” per spazzare via le costruzioni mentali, “Bukowski! Dimmi la verità, di quella birra non ne hai bevuta la metà”, a tratti davvero dissacrante ma inseriti in un contesto più ampio la loro ironia e la loro critica è davvero apprezzabile. Si continua con “Marylin Monroe che tiene alta l’attenzione dopo la bomba appena ascoltata, ancora una volta si prende in esame un mito quale Marylin. E vai con “Signor poliziotto” che mi riporta un po’ alla mente le sonorità dei Fast Animals and Slow Kids, anche questi un gruppo giovane e molto valido. Ed è il momento di Amore Borghese” con una sorpresa, in quanto ad affiancare la voce di Luca Romagnoli troviamo la riconoscibile voce di Emiliano Audisio, cantante dei Linea 77.
Dottorato in Filosofia, s’è buttato dal settimo piano, I Have no Future, grida mentre vola via” è la storia di “Norman” ,cronaca vera, successa in Sicilia dove la disperazione e il precariato nel lavoro e nella ricerca hanno dato vita a questa classe di persone promettenti, laureate e disperate. Con un testo schietto, vero e diretto che ben si sposa con tutto l’album. È il momento di “Irreversibile”, originale nel tema, facendo riferimento alle Sacre Scritture arriva alla conclusione che il grado di entropia della condizione umana è così forte che la soluzione è distruggere. Si continua con “Macedonia” dove già il titolo è emblematico e giù con “Nei Palazzi dove ci si rifugia anche per codardia in un mondo ideale che se anche non avremmo voluto farne parte ne siamo inclusi senza riuscire a farci nulla. Ed ecco l’ultima in lista per essere ascoltata “Il Numero otto” e non è meno di tutto l’album, anzi tiene ancora alta l’attenzione.
Per concludere, il progetto è molto valido, nei testi, nel sound, nell’immagine, soprattutto funzionano perché hanno un chiaro concetto di base. Si sono meritatamente guadagnati uno spazio nella scena musicale con irriverenza e senza chiedere il permesso.


venerdì 2 marzo 2012

Babalot in concerto - sabato 3 marzo 2012



Il cantautore romano per la prima volta in Puglia con un live acustico il 3 marzo a Giovinazzo.
-Pubblicato per GoConversano.it-
L'associazione culturale "Substrati - Culture dal Sottosuolo" e Arci 37 Giovinazzo sabato 3 marzo ospiteranno il live di Babalot, realtà musicale cantautorale indipendente italiana.
Babalot (Sebastiano Pupillo, accompagnato da un numero variabile di musicisti) presenterà, in un live acustico (affiancato per l'occasione da Thomas Longhi), il suo ultimo lavoro "Non sei più", uscito nel 2011 per Aiuola Dischi.
A sei anni dall'uscita di "Un segno di vita", il visionario Babalot è tornato con il suo pop stralunato, otto tracce nelle quali si fonde l'ironia e la tragedia. Ai testi profondi e scanzonati sono affiancate le sonorità più disparate, le chitarre classiche e i suoni da videogioco. Un disco disincantato nel quale l'umorismo e l'anima low-fi-pop-punk la fanno da padrone.
Ad aprire il concerto l'esibizione chitarra e voce del cantautore tarantino Pierpaolo Scuro(chitarrista, tastierista e cantante dei Tuesday's bad weather), che mescola nella sua musica il folk, il rock alternativo e il cantautorato italiano anni '70.
I Substrati Culture dal Sottosuolo, nati nel novembre del 2010, continuano la loro attività di ricerca delle culture sommerse, musicali e non, proponendo live music, reading, proiezioni di film e documentari etc etc.
L'idea è quella di far conoscere ad un pubblico sempre più ampio l'originalità dell'ambiente underground, quello quasi sconosciuto ai più.
Info e contatti:
Substrati - Culture dal sottosuolo: www.facebook.com/substrati - substrati.cds@gmail.com
ARCI 37: www.myspace.com/arci37 - arci.tressett@gmail.com - Arci 37, località Ponte Giovinazzo ore 22 - ingresso 4€ soci Arci (ingresso + tessera 2012 € 8)
Scarlett per Indiepercui

martedì 28 febbraio 2012

First Aid Kit, The lion's roar






Secondo disco del duo svedese composto dalle sorelle Joanna e Klara Söderberg, il cui progetto segue il revival country-folk e la riproposizione in chiave moderna delle atmosfere degli anni ’60-‘70 americani (Dylan, Simon e Garfunkel, Crosby, Still, Nash & Young, Joni Mitchell, Beach Boys) fieramente portato avanti da band come i Fleet Foxes, aggiungendo una particolare gradevolezza derivante dalla scelta delle melodie e dal perfetto intarsio delle voci. Il disco si compone di undici tracce dominate dalle bellissime voci delle titolari del progetto, ben inserite nell’impeccabile tappeto sonoro realizzato in buona parte da loro stesse, visto che, oltre a cantare, Joanna e Klara suonano anche chitarra e tastiere. Un approccio musicale dunque genuino e alieno da orpelli elettronici che viene riproposto nelle esibizioni dal vivo, che prevedono la presenza solo di un batterista ad accompagnare le sorelline.
Tra i brani degni di nota, la title-track e iniziale The lion’s roar chiarisce già, con il perfetto intarsio di voci, percussioni e mandolino, le coordinate musicali del disco. Emmylou parte da un rimpianto nostalgico dell’estate causato dall’arrivo dei freddi venti invernali per cantare nel ritornello due splendide coppie della musica folk americana, quelle formate da Gram Parsons ed Emmylou Harris (cui è intestato il titolo), e da Johnny Cash e June Carter. Blue nasconde sotto l’ammaliante tappeto sonoro il riferimento a una donna che gli accidenti della vita hanno reso impermeabile al contatto con gli altri. In the hearts of men esprime invece il desiderio tutto femminile di indagare nel profondo i cuori degli uomini. To a poet, pezzo caratterizzato da un delizioso cambio di passo nell’ultima parte (propiziato dall’irrompere di quartetto d’archi e fiati), traveste il rimpianto per un abbandono nel riferimento alle parole del poeta Frank O’Hara.
Insomma, un disco gradevolissimo, sicuramente tra i più belli tra quelli usciti in questo inizio 2012.





giovedì 23 febbraio 2012

Leonard Cohen, Old ideas









Dodicesimo album di inediti dell’ormai settantottenne poeta e cantautore canadese, forse una delle figure più influenti della musica di qualità a livello mondiale, da accostare a quella di Bob Dylan.
Si tratta di dieci brani di grande classe, che musicalmente riprendono lo stile dell’ultimo Cohen: voce roca e inconfondibile che domina un tappeto musicale di stile piuttosto tradizionale, in cui trovano spazio pianoforte, chitarre acustiche, tastiere, fiati. C’è anche un brano accompagnato da un banjo, che infatti si intitola proprio Banjo. Come spesso nei dischi del Cohen più recente alla sua voce da crooner si affianca l’apporto (quando necessario) di cori femminili.
Trattandosi di un artista che è passato come nulla dalla scrittura di poesie e romanzi a quella di canzoni (senza sopprimere né l’una né l’altra inclinazione) c’era molta curiosità per i testi del disco, anche perché lui stesso confessa che dal 1983 scrivere canzoni gli è diventato più difficile di prima, pur lavorando sempre sodo.
Ebbene, i testi contengono una forte impronta autobiografica (lo mostra il quasi esame di coscienza di Going home, che inizia così: ‘Amo parlare con Leonard, è uno sportivo, un pastore e un pigro bastardo’). La maggior parte dei testi seguono questa dichiarazione iniziale e parlano di un uomo disilluso, consapevole di avere attraversato tante fasi della sua vita e di non avere neanche tanto da vivere (Amen, Darkness, Show me the place, brani che con la già citata Going home compongono un quartetto iniziale di carattere fortemente autobiografico). Non manca in ogni caso anche il tema dell’amore ‘tormentato’ (Crazy to love you, Come healing e la soave ninna nanna Lullaby).
Idee vecchie, quelle del Nostro, ma ancora in grado dunque di dire la loro e di emozionare gli animi più sensibili…



Lisa Hannigan, Passenger








È uscito dalle nostre parti il 17 gennaio, mentre oltre Atlantico circolava già dall’autunno scorso, il secondo disco solista della cantante irlandese, che si è fatta conoscere nella prima parte degli anni zero come collaboratrice e voce femminile del conterraneo Damien Rice. Ora il sodalizio (professionale e sentimentale…) è terminato e, dopo l’acclamato debutto Sea sow, Lisa torna con un disco ispirato al folk della sua terra, contaminato all’occorrenza con un pop di sapore orchestrale e dominato dalla sua voce potente e ammaliante.
La stessa autrice dice del disco che “molti di questi brani sono stati scritti in viaggio, per questo possiedono quel senso di nostalgia tipico del viaggiatore”. Vanno in questa direzione la title-track, con il suo racconto di un percorso tra gli States, la dolce A sail e la roboante Home. Ma tra i temi del disco ci sono anche “gli amori, gli struggimenti, le confusioni e le amicizie che attraversiamo durante la nostra vita, oltre gli anni e i continenti, e che durano nonostante il tempo”. Segue questa ispirazione What’ll I do, delizioso motivetto di sapore quasi etnicheggiante che dileggia un amore perduto (il povero Damien?!). Il culmine del disco è raggiunto però dalla struggente e sognante ballata Nowhere to go, che parla ancora una volta di un viaggio, riferendosi però questa volta al volo di un uccello, che non trova più un posto dove andare.



Diaframma, Niente di serio






Diciassettesimo disco di inediti della band fiorentina, il cui marchio è portato avanti con ostinazione e fierezza dal chitarrista e autore dei testi Federico Fiumani. Iniziata agli albori degli anni ’80 in una Firenze influenzata dal dark e dalla new wawe anglosassone, la carriera della band ha visto alternarsi alla voce, prima dello stesso Fiumani, Nicola Vannini e Miro Sassolini. Attualmente la band si presenta come un terzetto con Luca Cantasano al basso e Lorenzo Moretto alla batteria. Alle registrazioni di questo album ha partecipato inoltre, suonando piano e tastiere, Gianluca de Rubertis de Il Genio.
Si tratta in tutto di dodici canzoni, dominate dalla poetica fiumaniana, che alterna come sempre in maniera umorale ironia e sentimento, sussurri e urli, dolcezza e ira. Particolamente ‘pulsante’ il cuore del disco, con due pezzi molto tirati e trascinanti come la title-track ed Energia del rock. Si lasciano ascoltare volentieri anche Entropia, il pezzo più meditativo del lotto, come suggerisce lo stesso titolo ‘filosofico’, e Madre superiora, brano ‘sentito’, nel pieno stile fiumaniano: refrain cantato a squarciagola, anzi a un certo punto urlato e distorto ‘nature’, senza l’ausilio di vocoder o altre diavolerie elettroniche. Verso la fine il tocco di classe: la profonda e dilatata Grande come l’oceano, in cui il Nostro rivela la sua giovanile infatuazione per i Ramones.
Insomma, una buona uscita, in linea con uno stile caparbiamente portato avanti in ormai 30 anni di musica e parole dal buon Federico, e un disco che non mancherà di appassionare e ‘trascinare’ nelle instancabili esibizioni live della band.